TRAMA: È una vita che oscilla tra luci e ombre, quella di Olfa, donna tunisina e madre di quattro figlie, un’esistenza spesso ribelle, ma schiacciata dal peso della tradizione e della società. Un giorno, le sue due figlie maggiori spariscono. Per riempire quell’incomprensibile vuoto, la regista invita due attrici professioniste a prendere il loro posto al fianco della donna e delle due figlie minori, per ripercorrere e mettere in scena – tra realtà e finzione – la storia della famiglia. Ne scaturisce un viaggio intimo e profondo pieno di speranza e sorpresa, un’opera emozionante e catartica, tragica ma anche inaspettatamente divertente, candidata all’Oscar 2024 per il Miglior documentario. Racconta tante cose, della condizione femminile oggi, in Tunisia e non solo. Se il cinema tunisino recente ci ha abituato a figure di donne forti e indipendenti, qui ci viene raccontata la tragedia che ha colpito una famiglia di sole donne. La regista, che aveva conosciuto la loro storia vedendo la madre, Olfa, in televisione, si ne è subito appassionata e ha deciso di raccontarla, affiancando alle due figlie minori e alla madre, note attrici che dialogassero con loro e in certe scene interpretassero lei e le due assenti, Ghofrane e Rahma, e scritturando un attore per tutti i ruoli maschili. Anche se è tutto vero, stilisticamente ne nasce un singolare mix tra documentario e finzione (Ben Hania ha parlato di F for Fake di Orson Welles e Dogvilledi Lars Von Trier, oltre che di Kiarostami, come i film e i registi che l’hanno ispirata), in cui la presenza degli attori professionisti ricrea alcune scene dando la possibilità alle vere protagoniste di reagire, ricordare, correggere, in una sorta di seduta di autocoscienza di volta volta dolorosa, nostalgica, allegra, assertiva. Tantissime le curiosità che nascono dopo aver assistito a questa tragica vicenda in cui le donne (tutte) sono vittime, anche se le figlie più piccole, che pure hanno subito traumi, oltre all’abbandono delle amate sorelle, danno al film uno sguardo positivo e di speranza. “Un cineasta non deve giudicare ma il suo scopo è trovare una verità, anche se la verità fa arrabbiare, fa male e se non si è d’accordo con questa verità. Fare dei documentari significa accettare questo patto e accettare la verità”.
“Radicale nella sua onestà e coraggio” HOLLYWOOD REPORTER
“Una delle proposte più interessanti del concorso
del Festival di Cannes 2023” CINEFILOS
“Kaouther Ben Hania firma un lavoro avvincente pieno di spunti politici, dialoghi ed emozioni destinati a rimanere negli occhi dello spettatore” SCREENWEEK
“Un atto di ribellione” MOVIEPLAYER
“Un film grandioso” ESQUIRE
Scheda del film
Titolo originale: Les filles d’Olfa
Nazione: Francia, Tunisia, Germania, Arabia Saudita
TRAMA: Al cuore non si comanda. E l’amore è un gioco pericoloso. Così, durante un’estate al mare, Pedro, apertamente gay, e Maxi, etero e single, iniziano un’amicizia affettuosa che stupisce tutti i loro amici. Pedro e Maxi giocano a fare i fidanzati e gli altri ci cascano. Anche la ex ragazza di Maxi che piomba ‘sul luogo del delitto’. Ma, lentamente, i due burloni cascano nella stessa rete che hanno lanciato. La pulsione sessuale diventa desiderio irresistibile e i due uomini finiscono a letto insieme. È solo una una stella cadente o sarà il grande amore? La leggerezza, in particolare quando si racconta una storia d’amore omosessuale, ha sempre la valenza di una piccola gaia rivoluzione nel destrutturare la retorica di un melodrammatico immaginario collettivo, nel rifiutare la riduzione a mera casistica di cronaca o nel sorvolare sugli indistricabili conflitti familiari: Pedro e Maxi, i due luminosi e gioiosi protagonisti del film, sono due ragazzi che giocano in libertà e spontaneità con l’amore, con la sessualità, con le proprie identità. Non ci sono apparentemente traumi, paure o reticenze, ma la spudoratezza e la vitalità di una giovinezza alle soglie di una maturità (entrambi hanno intorno ai trent’anni) rimandata per poter ballare almeno un’altra stagione. “Ho voluto raccontare una storia spudoratamente felice. Succede di rado, ma succede che due persone, etero o gay non importa, si conoscano e si riconoscano immediatamente. Nasce un’intesa che porta senza esitazioni all’amicizia. Ci si capisce al volo, si diventa indispensabili l’uno all’altra. Diventa un’amicizia che racchiude un segreto inspiegabile. Quell’amicizia a volte si trasforma in amore e può durare tutta la vita. È quanto succede tra Pedro e Maxi: hanno lo stesso senso dell’umorismo, la stessa percezione delle cose. E questo permette loro di superare le barriere erette per dividere gli etero dai gay”. (note di regia). Il vero protagonista è il corpo, i suoi tremori, la tensione erotica che lascia spazio alle parole, fiumi di parole che evocano e portano lo spettatore sul confine sottilissimo tra la scoperta del desiderio e la paura di rimanerci invischiati. È un racconto semplice, leggero, malinconico, che ha il sapore di sonnacchiose giornate estive, di vecchie case al mare senza Wi-Fi e di dvd da restituire nell’unica videoteca del paese: per Borg è anche l’espediente giusto per omaggiare il cinema a cui è più legato.
|| VERSIONE ORIGINALE SOTTOTITOLATA IN ITALIANO ||
TRAMA: In un piccolo paese sulle montagne dell’Anatolia, bianco di neve e ghiaccio per oltre sei mesi l’anno, Samet vive con frustrazione la sua condizione di insegnante confinato in un luogo sperduto e non vede l’ora che arrivi il suo turno di essere trasferito in città. Intanto, si trova a competere con il suo caro amico Kenan per le attenzioni di Nuray, anche lei docente in una scuola vicina. Una donna con un passato da attivista politica, leggermente disabile per i postumi di un attentato nel quale è rimasta coinvolta. Una sorta di triangolo, insomma, complicato dal fatto che Samet è sospettato di comportamenti inappropriati nei confronti di una giovanissima allieva. Lui e Nuray sotto certi aspetti non potrebbero essere più diversi ma, forse, proprio per quello si attraggono: mentre l’uomo è consumato dal cinismo, da una visione pessimistica del mondo, lei crede ancora che si possa lottare per migliorare per cose. “Quando si percepisce l’angoscia di una terra e di una natura, si sente il bisogno di rivalutare da zero i concetti di giusto, sbagliato, fallimento e innocenza. Nella cornice di una regione remota resa muta dagli imperativi storici, abbiamo cercato di trasmettere il sapore secco e insipido delle vicende sviluppate nel corso dei servizi obbligatori, l’immutabile insistenza del destino della professione di insegnante nel tirare avanti a stento, e il rapporto tra gli ideali alti e puri e la brutale spietatezza della dura realtà”. “La verità è tanto spietata quanta noiosa…Un tale soggetto offre la possibilità di rappresentare eventi e cose che invitano a riflettere su determinati concetti fondamentali, come il bene e il male, l’individualismo e il collettivismo, che, nel nostro paese, hanno sempre costituito dicotomie” Il regista conferma, così che il suo film è uno sguardo introspettivo verso personaggi intrappolati dall’ambiente circostante, ma ancora più da sé stessi. Ci viene raccontato un percorso esemplare che finisce per delineare i tratti intimi di personaggi straordinari che fanno parte di una umanità che non tollera confronti pacifici e dialogo.
TRAMA:Documentario incentrato sui funerali di Enrico Berlinguer, figura importante e storica della politica italiana. Già nel 1984 un gruppo di registi italiani realizzo il documentario corale, L’addio a Enrico Berlinguer, girato durante il commiato al politico. Questa volta, però, oltre alle immagini dell’evento sarà possibile vedere sul grande schermo anche del prezioso materiale dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, offrendo la possibilità di approfondire a figura storica di Berlinguer, partendo proprio dalla grande partecipazione del popolo al suo funerale. Le immagini dell’ultimo addio lasciano spazio a un Enrico vivo e vegeto, che snocciola i temi fondanti della sua politica e lo fa argomentando le sue tesi in modo diretto. In particolare, vengono riportati gli interventi sui temi più vicini alla società di oggi – generazioni, donne, famiglia, questione morale, lavoro – e su cui Berlinguer proferì parole estremamente attuali e che continuano a farci riflettere. Nel nostro nuovo assemblaggio abbiamo inserito il Berlinguer vivente ad intervallare i tempi espansi della lunga cerimonia, nei quali si mostra l’affetto e la partecipazione della gente verso il suo leader, in un rapporto simbiotico di incontro che ne cementa nel tempo la relazione. La nostra scelta è caduta su alcuni momenti in cui egli snocciola i temi fondanti della sua politica, e lo fa argomentando le sue tesi in modo diretto, con una chiarezza adamantina e una solidità d’intenti politici frutto di anni di studio, impegno, militanza, riflessione sui compiti e i doveri della politica. Abbiamo scelto gli interventi sui temi che ci sembravano vicini all’oggi e su cui Berlinguer ebbe parole che sono ancora di estrema attualità e che continuano a farci riflettere. L’umanità della figura di Berlinguer restituisce dignità, integrità e forza alla politica. Chi era Berlinguer? I più giovani non lo sanno, o almeno la maggioranza di loro. Forse questo film può aiutarli ad avvicinarsi a lui, a renderglielo vivo: un uomo animato da forti passioni politiche, da un senso di equità incrollabile, antifascista, un uomo mai stanco di lottare contro le ingiustizie sociali e le prevaricazioni dei più forti e potenti. (note di regia).
TRAMA: Julio Cesar ha quasi quarant’anni e vive ancora con sua madre, una donna colombiana dalla personalità trascinante. I due condividono praticamente tutto: una casetta sul fiume piena di ricordi, i pochi soldi guadagnati lavorando per uno spacciatore della zona, la passione per le serate di salsa e merengue. Un’esistenza ai margini vissuta con amore, al tempo stesso simbiotica e opprimente, il cui equilibro precario rischia di andare in crisi con l’arrivo di Ines, giovane colombiana reduce dal suo primo viaggio come “mula” della cocaina. Tra desiderio e gelosia la situazione precipita rapidamente, al punto che Julio si troverà a compiere un gesto estremo, in un viaggio doloroso che lo porterà per la prima volta nella sua terra di origine. “Questo film è una storia d’amore tra una madre e un figlio, una tragedia colorata che affonda i propri eroi nelle sfumature cangianti dei loro umori più intimi, nella delicatezza e nella violenza. È il racconto quasi mitologico di un legame basato sul sangue che ho tentato di sottrarre al giudizio, senza voler stabilire se ciò che unisce profondamente i due protagonisti sia un atto di amore, più forte delle convenzioni sociali, o un atto psichico disfunzionale che dimostra l’impossibilità di accettare una naturale separazione. Possiamo davvero tracciare una linea che distingua amore e follia, la forza irriducibile del sentimento dalla paura profonda di restare soli per sempre?”(Note di regia). Magnifico esempio di cinema d’autore che non predica dall’alto, ma si sporca le mani nella realtà che filma. Alla larga pregiudizi e moralismi, Artale si concentra sui corpi e gli spazi rivelando mondi nascosti e speranze di un altrove da cercare. I toni malinconici provengono da infanzie tristi e relazioni contorte, da sogni di indipendenza e obblighi viscerali verso chi ci ha dato la vita e detiene anche il potere di togliercela. Ci sono tanti modi per non-vivere, e la morte non è necessariamente uno di questi. Vincitore di tre premi all’ultima Mostra di Venezia (miglior sceneggiatura e interpretazione femminile nella sezione Orizzonti oltre al premio Arca giovani come miglior film italiano a Venezia), si candida sin d’ora tra i papabili per i prossimi David di Donatello.