Storia

I documenti rinvenuti nell’Archivio di Stato accertano che il Cinema Splendor nacque dall’intuizione di Don Leonardo Bitetti, sacerdote santermano, il quale volle tradurre concretamente, le istanze degli abitanti del quartiere Carrassi da poco usciti da poco dalla tragedia della II guerra mondiale. Con l’aiuto di alcuni giovani dell’Azione Cattolica fece nascere un piccolo teatro, sui suoli liberi della parrocchia.

Nel 1947, un commerciante della zona riuscì a ottenere un capannone in legno , usato alcuni anni prima, come deposito viveri dalle forze Alleate. Venne allestito a destra dell’entrata principale della piccola chiesa del rione. Il tetto fu ricoperto con tela catramata e le pareti interne rivestite con carta da parati. Nei primi tempi funzionò come sala da ballo e ricevimento per i matrimoni delle famiglie meno abbienti della zona, infine venne adibito a teatrino con quasi trecento posti a sedere. Qui vennero messe in scena rappresentazioni di vario genere, come “Tarcisio, il fanciullo martire” o il “Flavianus”, racconti attinti dagli annali di Tacito o che si ispiravano alle vite dei primi martiri cristiani. L’attività della piccola sala riscosse immediato successo, dovuto, in parte, alla relativa distanza dai principali luoghi culturali della città. Fu così che a metà del 1950, don Bitetti iniziò l’iter burocratico, affinché venisse costruito un cinema-teatro sul suolo fino ad allora, occupato dal capannone.

Il suo improvviso decesso non consentì di ultimare il progetto.

La sala nel giorno dell’inaugurazione – 1952

A sbrogliare la situazione dovette pensarci il suo successore, don Vincenzo Fiore.

“Mi giunse un plico abbastanza voluminoso. Conteneva i documenti e l’autorizzazione per costruire un Cinema parrocchiale. Sapevo bene che per ottenere tale licenza non era tanto facile; tanto vero che la domanda portava la data del settembre 1950, mentre eravamo nell’agosto del 1951. Cosa fare? Gironzolai un po’ tra i miei conoscenti di agenzie cinematografiche e tutti furono d’accordo nel consigliarmi la costruzione di un piccolo locale. Non avevo soldi. L’idea però di un cinema parrocchiale ben messo, rispondente alle esigenze moderne, dove fosse salvaguardato il giusto e meritato sollievo dopo il lavoro, e la morale, nonché il fattore educativo, divenne tanto luminosa da infondermi un’energia volitiva da tutto osare. Ci fu infatti gente che promise di finanziarmi per un importo di diversi milioni. Si diede l’inizio ai lavori ed in men di pochi giorni si vedeva la muratura che sorgeva.”[1] I lavori vennero ultimati in venti giorni, ma, l’apertura al pubblico non fu immediata a causa di diversi insoluti.

I fondi per il saldo del debito provennero, in maniera del tutto provvidenziale, da una coppia di sposi turchi fermatisi a Bari per le incombenze della loro pratica matrimoniale. Al momento della consegna della struttura, il totale da onorare era di 3.850.000 Lire e le somme mancanti vennero recuperate affittando il locale, per usi non propriamente artistici.

Il 10 febbraio del 1952 la sala cinematografica fu ufficialmente aperta. L’affluenza alle proiezioni andò oltre le aspettative, tant’è che l’anno successivo (22 luglio 1953), l’ente parrocchiale affidò all’architetto Chasseur Trieste, la redazione del progetto per un’Arena cinematografica all’aperto di 240 posti che sfruttasse lo spazio sovrastante la sala. Intanto, la sala al coperto continuò a proiettare film di II e III visione.

Nel 1959 sono sospese le proiezioni, per favorire il funzionamento del cantiere della nuova chiesa parrocchiale e delle annesse strutture.

Nel 1963 è presentato un nuovo progetto per adeguare il cinema alle nuove norme di sicurezza. La sala è allargata a 11,60 m e allungata a 24 m dalla cabina di proiezione consentendo così la costruzione delle uscite di sicurezza e sacrificando un giardino che fungeva da hall, presente tra Via Carnia e Via Buccari, ovvero nell’attuale retropalco.

Il cinema, dopo l’adeguamento è riaperto e per parecchi anni, sarà centro propulsore di numerose e partecipate attività culturali. Al suo interno si svolgeranno “gli incontri della Bontà” promossi dall’Arcidiocesi di Bari, alcune conferenze di Ugo Sciascia e Aldo Moro, le riunioni di formazione dell’AGIS e dell’ACEC, nonché i noti Cineforum organizzati dal Cine Circolo “Giovanni XXIII”, tenuti da don Vincenzo Fiore e frequentatissimi fino alla fine degli anni 70.

Nel 1982 il cinema è nuovamente chiuso a causa del decesso dell’unico cineoperatore assunto.

Affidata la direzione artistica, al professor Angelo Raffaele Fraccalvieri, sarà nuovamente ristrutturato e riaperto il 10 settembre del 1987.

Primo film proiettato, nella nuova sala, “La famiglia” di Ettore Scola.

Nel gennaio 2002 si costituisce in esso, il Circolo Arci-Pierrot le Fou finalizzato a soddisfare ogni esigenza culturale cinematografica proveniente dai suoi soci e assumendo in dotazione materiale audiovisivo e di approfondimento cinematografico. Negli ultimi anni, pur attraversando momenti di profonda crisi economica, è riuscito a resistere alla decimazione delle sala cinematografiche della città e ad affermarsi come sala d’essai.

Nel Natale 2013, stabilita la dismissione della tradizionale pellicola cinematografica e dei proiettori analogici, inizia le proiezioni in digitale col film “Philomena” di Stephen Frears. Ha fatto parte dell’iniziativa Circuito d’Autore, sostenuta dall’Apulia Film Commission e ha ospitato, nell’ultimo decennio eventi e iniziative di ampio respiro culturale.

Locandina per la prima chiusura dovuta al lockdown

L’8 marzo 2020 sconta la chiusura forzata, derivante dalla pandemia di Covid-19 e partecipa ad ogni iniziativa volta a non far spegnere la luce sulla tragica situazione delle sale cinematografiche. Non ultima, l’adesione alle visioni virtuali, promosse da una quarantina di cinema italiani, denominata #iorestoinsala che garantiva la proiezione in streaming di titoli che non avevano potuto vedere una prima uscita in sala.

Ha riaperto, nonostante difficoltà economiche oggettive e una perdita affettiva incolmabile, il 26 agosto 2021 perché “il cinema è una cosa per i vivi e deve continuare a vivere” (ARF).

 

La Gazzetta del Mezzogiorno – 10 febbraio 1952

 

 

[1] Tempo d’amare, bollettino. Pag.82